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sabato 22 luglio 2006
 

Premio Carosone 2006

 

CantaNapoli, Napoli internazionale

La canzone come cabaret e sogno napo-arabo-americano, verace e meticcia, glocal e global. Bentornati alla Piedigrotta carosoniana, alla parata dei versi birbanti, dei figli, dei nipoti e dei pronipoti di un artista tre volte prezioso: perché, sulle punta delle dita un po’ di jazz, ha rivoluzionato la musica leggera napoletana, e quindi italiana, armato solo di un sorriso; perché ha saputo scegliere quando fermare il mondo e scendere, uscire dalla mischia, negarsi alla società dello spettacolo, vietarsi la nostalgia canaglia senza nemmeno accendere il mito del fantasma del palcoscenico; perché ci ha lasciato brani che, a mezzo secolo dalla loro nascita, riservano ancora sorprese, nuove (ri)letture.

 

Cinque anni di Premio Carosone meritano una festa, ma coincidono con i cinque anni senza Renato, e se l’assenza è un assedio (Piero Ciampi dixit, anzi cantò) a noi manca anche Gegè Di Giacomo, il poeta del tamburo, il batterista-fantasista. E cinque anni diventano tanti, ma anche pochi, per la scommessa di vivificare un ricordo e un repertorio. Di tutti i successi finora riscontrati ce n’è uno di cui andiamo particolarmente fieri: il repertorio carosoniano non è mai stato così frequentato, in Italia e all’estero, come oggi. E non solo i brani celebri: col Premio Carosone abbiamo rilanciato “T’aspetto ‘e nove”, “Pianofortissimo”, “Ho giocato tre numeri al lotto”, “Stu fungo cinese”. Ora vi aspettano (ri)scoperte come “Amaramente”, mentre gli studi, l’archiviazione sistematica dei materiali editi e inediti lascia presagire perle nascoste.
Cinque anni dopo Renato è ancora una miniera di sorprese, di sorrisi e di canzoni. Ne abbiamo trovata una che si intitola “Serenata a Pellegrino”. E’ la sgangherata storia di un amore che invecchia come i suoi protagonisti, ritratti nei versi di Odoardo Tufani (seguiranno studi approfonditi, non temete): “Ti ricordi quella Pasca? Quando andammo all’Acqua Fresca? Per la pesca… la mia esca… prese un cefalo così. Mo’ che ‘a mano trema, è stracqua, e la preda non abbocca, getto l’amo, chi lo tocca?”. Tutto è perso, anzi no: “So invecchiata, so avvilita… però… però penso sempre a tte!”. Cantanapoli, Napoli in fiore alla faccia dell’età.
E, poi, cantanapoli, Napoli in rosa, quante signore della canzone quest’anno.
E ancora cantanapoli, Napoli internazionale. E pacifista! E’ Noa quest’anno la nostra bandiera, la nostra laica preghiera è “’na canzuncella doce doce, che facesse truvà pace a tutta gente che int’’a pace nun ce sta”. Perché non possiamo non dirci tutti carosoniani, perché Enzo Jannacci sul palco dell’Arena Flegrea tre anni fa piegò i versi di una canzone-lettera indirizzata prima a Silvia Baraldini e poi a Carlo Giuliani per spedirla a “Renato Carosone che ci ha insegnato che una guerra si può fare solo con l’ironia di una canzone”.

Di Federico Vacalebre